Fondi, l’idrovora dimenticata e il museo fantasma: spreco milionario

pubblicato su H24inchieste del 21 dicembre 2014

DSCN3559La differenza tra parole e realtà a volte può essere disarmante. Leggi di “network multimediale”, di “polo della conoscenza del territorio”, di “Business innovation center”. Per contro, ti trovi di fronte un grosso, cadente edificio avvolto da un fitto canneto. Continui a leggere le relazioni post progetto, e riecco concetti roboanti: “cooperazione tra ricerca e industria”, “creazione di imprese”, “transfert tecnologico”. Affacciandoti, noti che quell’edificio è privo di una parte della copertura, rubata. Dentro imperversano le intemperie. E’ mezzo ammuffito, coi quadri elettrici sventrati. Ci dev’essere un errore, qualcosa che non torna. Non è nella strada, però. L’errore è un altro. Macroscopico: uno spreco da manuale… dal sapore internazionale.


“Protagonisti”, più di quattro milioni d’euro di fondi europei “Docup” dedicati alle zone svantaggiate del Lazio, piovuti una tranche dietro l’altra per mano regionale, prima con la Giunta Storace, poi con quella Marrazzo. Un mucchio di soldi a suo tempo agguantati e quindi distribuiti dal Comune di Fondi per riqualificare, valorizzare ed infine restituire alla collettività un’opera d’archeologia industriale simbolo dell’epopea della bonifica della Piana. Elargiti a palate, spesi fino all’ultimo. Bruciati senza un apparente perché. Un nulla di fatto da lasciare a bocca aperta, non fosse la situazione nota – ed irrisolta – da anni: un progetto inspiegabilmente arenatosi sul finire, il tempo che passa, il degrado che avanza, l’inerzia. I termini di un flop.

Quegli oltre quattro milioni d’euro di fondi strutturali, sulla carta, dovevano servire a dare nuova vita alla “Macchina vecchia di Pantano”, ovvero l’idrovora dell’Acquachiara, risalente alla fine dell’Ottocento. Dapprima, la ristrutturazione per salvarla dall’abbandono. Di seguito, sulla falsariga di quanto avviene da anni in Paesi come l’Olanda, sarebbe andata ad ospitare un’area museale multimediale con annesso Centro di documentazione sulla bonifica delle paludi di Fondi, destinata ad accogliere scolaresche e studiosi. Per il futuro, si prospettava un polo dove ricerca ed impresa sarebbero andate a braccetto. Fantascienza. Da quelle parti certe presenze non si sono viste nemmeno col binocolo. In compenso vi furoreggiano i ladri, che un mese sì e l’altro pure, a lungo indisturbati, hanno cannibalizzato quel sito ristrutturato a suon di denaro pubblico e di fatto mai inaugurato né tantomeno aperto. Finiti i fondi, col cantiere agli sgoccioli, è caduto semplicemente in un limbo, preda di tutto fuorché di una valorizzazione. Alla faccia del modello internazionale, il fantomatico “Business innovation center” e tutto il resto hanno fatto spazio all’incuria e all’assalto dei malintenzionati.

*Un momento della ristrutturazione*
*Un momento della ristrutturazione*

Storia emblematica. L’Unione europea apre i cordoni della borsa, la Regione prende e dà ai Comuni con idee meritevoli. Occasione ghiotta per calamitare denaro e fare un “lifting” del territorio. Occasione che, nella Piana, la prima amministrazione guidata dall’allora sindaco di Forza Italia Luigi Parisella intende appunto cogliere per recuperare lo storico impianto idrovoro alla periferia della città. Prima di intercettare i soldi targati Ue, riuscendovi con buona scioltezza, un formale passaggio di mano. Di proprietà regionale ed in gestione al Consorzio di Bonifica, ente collegato, il vecchio impianto dell’Acquachiara passa al Comune, in comodato d’uso gratuito fino a data da destinarsi. Dopodiché, il via ad un percorso che sembra filare liscio come l’olio: progetto di largo respiro approvato dalla Regione, nel doppio ruolo di intermediaria e padrona; cantiere aperto; largo ai lavori di recupero e riqualificazione. Spalmati in vari lotti, i fondi appositamente stanziati: 1.050.000 euro per le annualità 2002-2003; 750.000 euro per il 2003-2004; 1.215.000 euro per il 2005-2006, il resto a seguire. Ad un certo punto, nel 2008, gli ultimi lavori e il buio pesto. Complice, di sicuro, un periodo davvero particolare.

Tanto per capirci: il 2008 è l’anno in cui presso il Comune di Fondi viene inviata la Commissione d’accesso prefettizia per il sospetto di infiltrazioni della criminalità organizzata; nel 2009 arrivano invece gli arresti dell’operazione “Damasco”, che tra gli altri colpiscono gli ex vertici dei Lavori pubblici, l’assessore, dimissionario da qualche mese, e il dirigente di settore; di una manciata di mesi seguono le dimissioni di massa della seconda amministrazione Parisella e le nuove elezioni.

Quando, messo da parte lo “sputtanamento”, come lo bollarono in quei giorni i potentati di Forza Italia, la riqualificazione dell’impianto da “valorizzare” torna all’attenzione generale è perché questo è già in via di disfacimento, privo di manutenzione e preda dei raid di vandali e soliti ignoti. Con questi ultimi che non hanno mancato di arraffare nulla: quadri elettrici e matasse di fili, parte del tetto in rame, estintori, faretti. In un’occasione sparì un’intera cancellata. Altre volte, sanitari e termoconvettori, ancora belli che imballati, abbandonati con la fine – fine? – dei lavori, ormai diventati quasi inutili. Razzie continuate, senza nemmeno lo straccio di un impianto di sorveglianza. Che pure c’è. Peccato che, chissà se per il dubbio su chi dovesse pagare le bollette, le utenze non siano mai state allacciate.

Inutile continuare oltre. Il quadro è chiaro. Si andava alla ricerca di una valorizzazione dei sistemi locali, si è finiti con una vagonata di soldi a perdere ed una cattedrale nel deserto in rovina ancor prima del taglio del nastro. Oltretutto, una cattedrale “intrappolata”, dato che di soluzioni reali per evitarne l’ulteriore disfacimento proprio non se ne vedono. Per quanto ancora? Almeno fino ai prossimi soldi pubblici.

 

NESSUN RESPONSABILE

Di chi è la responsabilità dei milioni d’euro sperperati lasciando nuovamente marcire l’ex idrovora? Un rebus, a sentire i due sindaci che, in rapida sequenza, su piani differenti, si sono ritrovati a gestire la questione. Ascoltato a riguardo, ognuno mette in campo le proprie ragioni.

*L'ex sindaco Luigi Parisella*
*L’ex sindaco Luigi Parisella*

A partire dall’ex forzista Luigi Parisella, la cui prima amministrazione diede il via al restyling della struttura, protrattosi fino al suo secondo mandato, chiuso bruscamente. “Ristrutturazione e museo facevano parte di un progetto di valorizzazione più articolato, comprendente anche la fascia dunale e il Lago. All’interno della vecchia idrovora, simbolo di quella bonifica che fu la scintilla dello sviluppo della Piana, tutto era terminato. Avevamo anche acquistato della documentazione che sarebbe servita per l’archivio di cui dotare la struttura nella sua nuova veste”. Lui e i suoi, dice Parisella, avevano pensato le cose in grande: “Sarebbe stata un’area multimediale, fiore all’occhiello di un’attività turistico-culturale. Addirittura, avevamo provveduto ad individuare due zattere elettriche per le visite guidate. Volevamo lanciare un messaggio. Vennero anche degli ispettori europei per vedere quanto si stava facendo, complimentandosi”. E allora perché si è arrivati allo sfacelo? Perché non è mai partito nulla?Io non c’entro. Per ultimare i lavori mancava solo la parte esterna, quella del piazzale. Una spesa di circa 80-90mila euro che sarebbe toccata, a differenza di quelle precedenti, al Comune”.

Di più, ha affermato l’ex sindaco, non sa. Pure perché la fase finale del cantiere milionario – era il 2008 – andò in pratica a coincidere con l’inizio di un periodo da incubo che portò il Comune sotto i riflettori per indagini, arresti, veleni e sospetti, finito – arrivati ad ottobre 2009 – con l’“autoliquidazione” dell’amministrazione ad anticipare la decisione del Governo sullo scioglimento per infiltrazioni.

Salvatore De Meo
*Il sindaco Salvatore De Meo*

Successore di Parisella sullo scranno di primo cittadino a partire dal marzo del 2010, il forzista ed assessore all’Urbanistica uscente Salvatore De Meo. Il quale, ha sostenuto, di fronte ad un immobile compromesso da prima del suo arrivo, non ha potuto far altro che iniziare a bussare alla porta della Pisana in cerca di una gestione a più mani, come del resto detto di volta in volta a chi negli anni lo ha (sporadicamente) incalzato sul tema, da La Destra al Pd, passando per la civica Progetto Fondi. “A suo tempo il Comune non ha certo preso la struttura per tenerla, ma per ristrutturarla grazie all’opportunità dei fondi, allo scopo di creare un presidio centrale in un’area periferica particolare. Da poco dopo il mio insediamento, abbiamo tentato a più riprese di risolvere la questione. Considerando i danni che già all’epoca la interessavano, tra incontri e richieste ufficiali abbiamo provato a rapportarci con il Parco dei Monti Ausoni e con il Consorzio di Bonifica, e dunque con la Regione, per una gestione condivisa di un immobile che, ricordiamolo, è proprio regionale”. Diverse, le ipotesi di destinazione d’uso avanzate per via ufficiale dal sindaco. “La sede dei guardiaparco, che oltre a poter essere funzionale al Parco potrebbe rappresentare un presidio contro i malintenzionati. Oppure la sede di associazioni ambientaliste, di un centro di raccolta e documentazione sulla storia delle bonifica, o inerente arti e cultura popolare”. Proposte e pressing istituzionale che, ormai arrivati con De Meo a fine mandato, non hanno sortito alcun effetto sui vertici della Pisana. Di condivisione, insomma, non se ne parla. Ed il perché è scontato: senza soldi piovuti dall’alto, a chi interesserebbe sborsare fior di quattrini per la ristrutturazione bis di quell’impianto in cerca d’autore? L’impegno economico sarebbe magari troppo per utenze e quant’altro, figuriamoci per rimettere daccapo mano a buona parte dell’edificio. Quindi? Facile immaginarlo. Per provare a risorgere, guarda un po’, la “Macchina vecchia di Pantano” dovrà con tutta probabilità attendere un’altra infornata di fondi. E poi sperare nella buona sorte.

 

PROTAGONISTA DI UN’EPOPEA

*Immagine dal libro "La Macchina vecchia di Pantano"*
*Immagine dal libro “La Macchina vecchia di Pantano”*

Storie di uomini, ingegno, acque. E imponenti sistemi idraulici. La bonifica della Piana di Fondi è passata anche e soprattutto da “macchine” come quella di via Capocroce, oggi magari anonima, un tempo avanguardia. Tra le prime in Italia, spinta dalla forza del vapore aiutò a prosciugare e restituire fertili terre fino a prima sommerse, a scacciare definitivamente la malaria. Trasformazione del territorio e risanamento che diedero la spinta decisiva allo sviluppo agricolo della zona e al successivo boom che, in un salto temporale, portò agli anni d’oro del Mof.

Il primo nucleo della “Macchina di Pantano” nacque a partire dal 1880 in quella che era ancora Terra di Lavoro, su un progetto dell’anno precedente. Dal secondo dopoguerra, causa obsolescenza, il progressivo declino e la chiusura per dismissione, fine del suo lungo, (poco) onorato servizio. A seguire, anni di completo abbandono che ridussero quel manufatto industriale ad uno scheletro. Fino alla svolta fantasma.