Don’t touch: ecco perché è un’associazione a delinquere

Don't Touch: una fase degli arresti a ottobre 2015

A Latina l’associazione per delinquere analizzata nel processo “Caronte”, messa su dai Di Silvio e dai Ciarelli, non è l’unica organizzazione criminale costituita dalle famiglie di origine nomade. Un’associazione per delinquere particolarmente pericolosa, impegnata nell’usura e nelle estorsioni, con ampia disponibilità di armi, facile ricorso alla violenza e capacità di corrompere anche le forze dell’ordine e fare affari con intestazioni fittizie di beni, è anche quella al centro del processo “Don’t touch”. A spiegare perché si tratti di un’organizzazione criminale è stata ora il giudice Laura Matilde Campoli, motivando la sentenza sulle prime condanne scaturite da tale procedimento, quelle per 9 imputati, che al termine del processo con rito abbreviato hanno incassato condanne appunto per un totale di quasi mezzo secolo di reclusione.

LA SENTENZA – Il giudice Campoli ha condannato Angelo Travali, capo zona dell’organizzazione criminale, a 10 anni di reclusione, a 9 anni Salvatore Travali, a 6 anni Giuseppe Travali, a 6 anni Francesco Viola, a 3 anni e 3 mesi l’apriliano Francesco Falco, a 2 anni e mezzo Cristian Battello, a 5 anni Antonio Giovannelli, a 3 anni e mezzo Antonio Neroni, e a 3 anni e mezzo il poliziotto Carlo Ninnolino.


Una fase degli arresti a ottobre 2015
Una fase degli arresti a ottobre 2015

IL 416 – Nelle 42 pagine di motivazione della sentenza, appena depositate, viene specificato che i fatti oggetto del processo traggono origine da un’ “intesa attività criminosa posta in essere nel capoluogo pontino da parte dell’associazione per delinquere”. E che si tratti di un’organizzazione criminale il giudice ne è convinta evidenziando i vincoli di parentela tra gli associati (il capo Costantino Cha Cha Di Silvio zio dei Travali e Viola cognato di quest’ultimi), dalla presenza di interessi comuni nell’usura, nelle estorsioni, nella gestione di attività commerciali mediante prestanome, dalla disponibilità di armi clandestine, dall’impegno dell’associazione nel recupero crediti di imprenditori che operano a Latina, dai ruoli dei singoli all’interno dell’organizzazione, dal progetto criminoso e dalla consapevolezza di far parte di un’associazione per delinquere.

GLI IMPUTATI – Viola viene definito dal giudice Campoli, “senza alcun dubbio, un personaggio di spicco della malavita pontina, particolarmente violento e incline al delitto”. Angelo Travali come un soggetto “un gradino immediatamente al di sotto di Cha Cha”. “Le sue scorribande – precisa il magistrato – sono rilevanti e numerose”. Blindata anche l’ipotesi delle estorsioni ai danni dei negozi di abbigliamento Mancinelli e Fanella, dove i membri dell’associazione avrebbero acquistato a prezzi stracciati abiti tenendo tali commercianti “sotto scacco”. Il giudice ha ritenuto provata con “assoluta certezza” anche la corruzione di due carabinieri di Aprilia ad opera di Falco, militari che avrebbero “fatto oggetto di mercimonio la loro funzione, ricevendo in modo sistematico quale corrispettivo somme di denaro e droga”.

IL POLIZIOTTO – Le parole più dure del giudice Campoli sono però per il poliziotto Ninnolino, all’epoca dei fatti uno degli investigatori della squadra mobile. L’imputato, ritenuto parte dell’associazione per delinquere, viene indicato come “messaggero di informazioni all’esterno, al fine di ottenere un ingiusto profitto patrimoniale”. “Oltre ogni ragionevole dubbio”, per il gup, Ninnolino avrebbe “in modo reiterato, sistematico e regolare, rivelato e utilizzato notizie che dovevano rimanere segrete”. Notizie che sarebbero state “fondamentali per la sopravvivenza del gruppo al quale in tal modo partecipa” il poliziotto, “condividendone le finalità illecite”. “Ha offeso e svilito la sua funzione – conclude il giudice – asservendola ai loschi traffici della consorteria criminale”.