MARIJUANA A USO TERAPEUTICO, AL TRIBUNALE DI GAETA IL PROCESSO ALLA 48ENNE DI ITRI SABRINA AGRESTI

E’ un diritto curarsi come meglio si crede? Intorno a questa domanda, al Tribunale di Gaeta davanti al giudice Carla Menichetti, ruota il processo che vede protagonista la 48enne imprenditrice di Itri Sabrina Agresti, arrestata lo scorso ottobre perché trovata in possesso di otto piante di cannabis interrate e venticinque grammi della medesima sostanza stupefacente in fase di essicazione.

L’imprenditrice, tra l’altro dottoressa in giurisprudenza, da ventidue anni è affetta da glaucoma, una malattia il cui esito è la completa cecità. Stando alle medie, alla Agresti resterebbero ancora quattro anni prima di perdere completamente la vista. Così, dopo una vita passata ad utilizzare farmaci prescrivibili nel vano tentativo di rallentare il progredire della sua malattia, ha tentato una via alternativa da cui, comunque, non è certo avrebbe avuto dei benefici seppure esistono studi e casi trentennali che confermano questa tesi. E cinque regioni italiane, a Puglia, Liguria (la cui legge regionale è tuttavia stata impugnata), Toscana e Veneto, a gennaio di quest’anno si sono aggiunte le Marche, puntano a creare una filiera di produzione nella zona di Rovigo, in cui l’uso terapeutico è riconosciuto.


*Sabrina Agresti*

Nella mattinata di oggi, assistita dall’avvocato Mirko Di Biase, la Agresti è tornata in aula a Gaeta per difendersi dall’accusa di detenzione e coltivazione di stupefacenti e ribadire quello che lei ritiene il suo diritto a curarsi come meglio crede.

Un’udienza, quella di oggi, che prevedeva l’audizione dei militari che l’arrestarono ma che a causa di una mancata notifica avrebbe portato a un nulla di fatto se accusa e difesa non si fossero accordate, come avvenuto, per un’inversione dei teste.

E così, preso atto anche dell’assenza giustificata, causa malattia, del perito incaricato di redigere la relazione sul grado di tossicità della sostanza sequestrata a ottobre, il giudice ha disposto per l’audizione dei teste della difesa ovvero del primario del reparto di oculistica dell’ospedale San Carlo di Nancy di Roma dove l’itrana periodicamente, suo malgrado, effettua controlli specialistici per verificare la propria pressione endoculare ovvero la quantità di liquido prodotto all’interno dell’occhio (più liquido c’è nel bulbo oculare e più alto è il valore della pressione).

*(foto d’archivio)*

Dati alla mano il medico ha spiegato al giudice come la marijuana, secondo studi appurati, agisca andando a ridurre la pressione oculare, di fatto rallentando il progredire della malattia, per cui attualmente non esiste una cura riabilitativa che permetta il recupero della vista. Inoltre, ha confermato di aver parlato alla donna della cura a base di marijuana, da assumere mediante tisane, ammettendo di non avergliela potuta ovviamente prescrivere stante che nella Regione Lazio l’uso terapeutico della marijuana non è contemplato.

Rinviando infine a una nuova udienza, 8 aprile, il giudice, anche considerato che la 48enne è incensurata, ha sospeso la misura dell’obbligo di firma presso la stazione Carabinieri di Itri a cui la donna era sottoposta due volte a settimana dalla data dell’arresto.

“Fino a quando il provvedimento non verrà notificato ai carabinieri – ha detto la Agresti a fine udienza –, continuerò a firmare regolarmente ma dopo la giornata di oggi voglio essere più fiduciosa che questa vicenda si risolva positivamente. L’ho già detto in passato e lo ribadisco oggi: lotterò per vedere riconosciuto il mio diritto nel Lazio a curarmi come meglio credo. Non mi si può togliere la speranza di stare meglio”.

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