“Chiediamo a questa onorevole Corte d’assise una sentenza di piena assoluzione per non aver commesso il fatto, di Antonino Venanzio Tripodo”. La richiesta è stata formulata dagli avvocati Eugenio Minniti e Sandro Furfaro a conclusione dell’arringa difensiva in favore di colui che è accusato di essere il basista del commando, secondo l’accusa composto da Vincenzo Monteleone e Lorenzo Federico, che la notte dell’11 settembre 1988 ha ucciso con nove colpi di pistola calibro 7,65 Domenico Carabetta. Un omicidio che, secondo la ricostruzione dell’accusa, sostenuta dal pm Giuseppe Adornato, sarebbe avvenuto per errore di persona. Il pm, che ha già discusso, ha chiesto la pena dell’ergastolo per Monteleone e Tripodo, e 16 anni di reclusione per Federico, collaboratore di giustizia che ha fornito una ricostruzione dei fatti accaduti quella sera di fine estate, quanto il commando aveva raggiunto Sant’Ilario per eliminare due fratelli di Ardore, per vendicare il delitto di un noto albergatore originario di Platì.
Ed è sulla tesi del collaboratore Federico che gli avvocati Minniti e Furfaro hanno concentrato gran parte del loro intervento, demolendo una ricostruzione definita “illogica, contrastante e priva della cosiddetta “convergenza del molteplice” rispetto ad altre fonti collaborative che, per i legali, escludono Tripodo da ogni responsabilità. Minniti e Furfaro, infatti, hanno rilevato che il loro assistito era privo di patente di guida in quel periodo, tanto che risulta quantomeno illogico che Tripodo abbia potuto accompagnare Monteleone e Federico a Brancaleone, presso l’abitazione dove Giacomo Lauro trascorreva la latitanza supportato da Claudio Panzera. In effetti questi ultimi, a loro volta collaboratori, hanno sempre negato di aver mai ricevuto la visita di Tripodo. E ancora, i due legali hanno rilevato che il presunto garage, nel quale dovevano dormire Monteleone e Federico, altro non era che un deposito utilizzato esclusivamente dai legittimi proprietari. Anche sul presunto alibi precostituito da Tripodo, gli avvocati hanno sottolineato la illogicità di un individuo che, dopo essere stato completamente escluso dalla vicenda in anni precedenti, ha cercato di ricostruire tutti i propri movimenti avvenuti 20 anni prima, ancorandoli su fatti precisi e inconfutabili, ai quali si sono richiamati i genuinamente i testimoni sentiti in aula. Pertanto i difensori hanno richiesto la piena assoluzione per Venanzio Tripodo da ogni accusa a suo carico. Il processo riprende il 17 giugno, giorno in cui la Corte di Assise, (Amelia Monteleone presidente, a latere Angelo Ambrosio), si potrebbe ritirare in camera di consiglio.
[gazzettadel sud.it]
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