LEGAMBIENTE, RAPPORTO CAVE 2011: LAZIO AL 6° POSTO, CON 393 CAVE ATTIVE, 475 DISMESSE O ABBANDONATE. PREOCCUPA PRIVERNO

I numeri rilevati dal Rapporto Cave 2011 di Legambiente, come per il monitoraggio effettuato nel 2009, risultano allarmanti, con ben 5.736 cave attive in Italia: tra le Regioni che presentano un maggior numero di aree destinate alle attività estrattive il Lazio si piazza al 6° posto, con 393 cave attive – rispetto alle 318 censite nel 2009 – delle quali più di 30 nel Comune di Roma. Il Lazio rimane così ancora una volta la regione che mostra le più serie criticità; nonostante sia finalmente stato approvato il Piano Regionale delle Attività Estrattive (PRAE), atteso da molti anni, le quantità possibili di estrazioni previste sembrano andare a confermare i trend della nostra regione – l’unica insieme alla Lombardia a non mostrare un calo quantitativo a seguito della crisi del settore – e i livelli dei canoni di concessione risultano ancora minimi (solo 30 centesimi a metro cubo per sabbia, ghiaia ed argilla, 50 centesimi per il calcare, 2 euro per le pietre ornamentali).

“È assurdo che il costo del prelievo di qualsiasi tipo di roccia nel Lazio sia di pochi centesimi di euro a metro cubo, a fronte di guadagni altissimi derivanti dalla vendita dei materiali. È ancora lontana nel Lazio una politica di gestione del territorio attenta agli aspetti paesaggistici e naturalistici, che renda possibile il recupero di cave abbandonate da decenni e limiti l’apertura di nuove, rispetto agli interessi di chi opera nel settore – dichiara Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio -. Occorre invertire subito questa rotta per uscire finalmente da una situazione di grandi guadagni privati e di rilevanti impatti nel paesaggio, introducendo canoni di concessione più alti, almeno del 20% rispetto al prezzo di vendita, e favorendo il riciclo degli inerti provenienti dall’edilizia in modo da ridurre sensibilmente l’utilizzo delle discariche come avviene negli altri Paesi europei”.


I dati forniti dal Rapporto Cave 2011 confermano un quadro allarmante: il Lazio, infatti, si posiziona al primo posto in Italia per l’estrazione di calcare, con 5,4 milioni di metri cubi annui estratti e al secondo posto per quantità di sabbia e ghiaia estratta, con ben 15,8 milioni di metri cubi annui (dopo la Lombardia). Si tratta, infatti, delle aree in cui il mercato delle costruzioni e delle infrastrutture costituisce una delle fonti principali dell’economia regionale e dove risulta quindi difficile osservare un’inflessione degli inerti estratti ancor più decisa, anche in periodi di crisi come quello degli ultimi tre anni. Anche per quanto riguarda le pietre ornamentali, il Lazio si classifica tra le Regioni con maggior prelievi effettuati con 1,7 milioni di metri cubi estratti sui 12 milioni totali (3° posto della classifica nazionale, dopo Sicilia e Toscana). Si tratta di zone della nostra Regione dove la qualità delle pietre cavate ha una fama mondiale ed una storia secolare, basti pensare al travertino della provincia di Roma. La quantità di torba estratta nel Lazio risulta inesistente, mentre l’argilla prelevata dal terreno laziale si attesta sui 244 mila metri cubi annui.

Le entrate degli enti pubblici dovute all’applicazione dei canoni sono ridicole in confronto al volume d’affari del settore: nel Lazio, il rapporto tra le entrate regionali e quelle delle aziende è di 1 a 42 ossia 4,7 milioni contro quasi 200. Ancor più imbarazzanti sono le sanzioni previste dalle Leggi Regionali nei casi di coltivazione illegale, abusivismo ed inosservanza delle prescrizioni previste dalle suddette leggi: per l’apertura non autorizzata di una cava, infatti, nel Lazio è prevista una multa compresa tra 35.000 e 350.000 euro per coltivazione illegale, tra 10.000 e 100.000 euro per ricerca illegale e tra 3.000 e 30.000 euro per mancato permesso di vigilanza, mentre in altre Regioni le ammende comminate rimangono ancora più basse rispetto ai guadagni possibili e al danno ambientale che ne scaturisce.

Per fare alcuni esempi, nella zona tra Ponte Galeria e Malagrotta, nelle immediate vicinanze di Roma, l’estrazione di sabbia e ghiaia sta facendo diventare pianeggiante un territorio originariamente caratterizzato dalla presenza di dolci colline. In questo contesto va segnalata anche la condizione del Comune di Roma, che rappresenta quello con maggiore diffusione di cave a livello nazionale: sono infatti ben 32 le cave attive sul territorio capitolino che stanno divorando il territorio di colline circostante la Capitale; buona parte di quest’area presenta un numero elevatissimo di aziende e di concessioni ma nessuno sembra rendersi conto del devastante effetto complessivo che si sta generando.

“Questi enormi sbancamenti di materiali per usi edili appaiono quanto mai assurdi in una città come Roma e nel resto del Lazio, che se puntasse con più convinzione sul riciclo degli inerti potrebbe tranquillamente ridurre il prelievo da cava, magari innescando anche un serio processo di rinnovamento del parco edilizio esistente – commenta Cristiana Avenali, direttrice di Legambiente Lazio -. La mancata programmazione di riciclo dei materiali prodotti o di recupero di 475 cave dismesse o abbandonate rischia di compromettere ulteriormente il territorio, già ampiamente devastato da altre forme di sfruttamento, quando invece per legge è previsto che si attuino piani di recupero e, in molto casi, queste aree si potrebbero destinare a veri e propri parchi fotovoltaici”.

Anche ad Anguillara Sabazia continua lo sfruttamento delle cave di basalto, che rischia di determinare conseguenze per la salute per migliaia di cittadini esposti alle polveri e di compromettere anche la stabilità delle abitazioni. Oltre all’impatto derivato dalle attività estrattive, infatti, è sempre più allarmante l’intensità del traffico pesante per il trasporto del materiale cavato, a fronte di soli 2 euro al metro cubo versati nelle casse pubbliche. Preoccupante anche la situazione a Priverno, dove finalmente sono stati introdotti i canoni di concessione per le attività minerarie di sabbia silicea delle ben 8 cave attive presenti, che essendo concessione minerarie non pagavano, ma rimangono molte altre questioni legate a vincoli idrogeologici e paesaggistici.

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