8 marzo e la bellezza di una piccola grande donna

«L’Oscar al film di Paolo Sorrentino è una vittoria per i bambini acondroplasici. Attraverso il ruolo di Dadina li ho portati in alto, sull’Everest, li ho fatti vedere a tutto il mondo. Sono loro la vera grande bellezza.»

Giovanna Vignola è soprattutto questo: volontaria presso un’associazione, una donna che aiuta gli altri a sentirsi più integrati e meno soli. Gli “altri” sono soprattutto le famiglie e i bambini affetti da acondroplasia, malattia genetica rara (il nanismo come viene chiamato dai più)  che in Italia colpisce circa 4 mila persone e di cui poco si sa perché  poco se ne parla. Una specie di tabù culturale e sociale che, grazie alla fortuita partecipazione di Giovanna al film «La grande bellezza», oggi è meno sconosciuto. Cavalcando questo successo mondiale, forse si potranno aiutare le persone di bassa statura ad uscire allo scoperto ed alle realtà associative come “Acondroplasia-Insieme per crescere”  di Aprilia  (Latina) a farsi promotrici di una sempre più forte campagna di sensibilizzazione sulle problematiche degli acondroplasici che, soprattuto da bambini, rischiano di trovarsi ai margini di un contesto scolastico – e poi della società adulta – ignaro delle loro necessità. Così, tra il rischio di subire atti di bullismo e passare per alunni disattenti o svogliati (colpa delle apnee notturne che ne disturbano il sonno) gli acondroplasici hanno dalla loro parte solo le proprie famiglie, mentre il resto  del mondo li ignora.


E nell’interpretazione di Dadina – l’editrice forse unica vera amica e confidente di Gep/Servillo – Giovanna porta con sé tutto questo, tutta la sua vita. Non faticando ad immedesimarsi nella minuta figura salvifica di Gambardella, trasformandosi in una straordinaria attrice per caso, anche se il suo obiettivo era e rimarrà uno solo: lottare per la dignità di quanti, parafrasando una battuta di Dadina, avranno anche «anche a 60 anni il privilegio di sentirsi bambini, guardando il mondo dalla loro altezza.» Ma questa rimane l’esternazione funzionale ad un personaggio che nel film è  vivace, pungente, cinico e disincantato, seppur profondamente buono: la realtà per gli acondroplasici è anche sofferenza «per questo quando rivedo il mio personaggio mi commuovo, perché ha sofferto», dice Giovanna.

Abbiamo incontrato Giovanna Vignola – insieme ai rappresentanti dell’associazione  “Insieme per crescere” cui ha devoluto l’intero cachet percepito per il lavoro con Sorrentino – durante la partecipazione ad una trasmissione su LazioTv a Latina. Qui si è raccontata, ha ricordato il percorso del tutto inaspettato che l’ha portata al set di un film che, nel giro di pochi mesi, avrebbe mietuto premi sino a quello forse più ambito, la statuetta d’oro targata Usa. Il suo faro resta comunque l’attività nell’associazione apriliana attiva in tutta Italia, ed è proprio grazie a questa che la produzione del film è risalita a Giovanna (che vive ad opera nel volontariato in quel di Perugia) proponendole di entrare nel cast.

«Sono stata segnalata dall’associazione – dice Giovanna – ed all’inizio non volevo nemmeno fare il provino. Poi la produzione mi ha convinto, così come il personaggio di Dadina che ho studiato molto ed apprezzato per come Sorrentino lo racconta: donna tutta d’un pezzo, non grottesco. Così ho accettato…a patto che nei titoli di coda venisse citata la nostra famiglia “Insieme per crescere”».  E così è stato.

Attrice davvero per caso, una vita letteralmente stravolta dal successo che lei – insieme al marito Stefano -declina sempre per la stessa causa. «Se arrivassero altre possibilità di recitare – ha detto – lo farei solo per la mia associazione. Sempre e solo in un contesto di assoluta dignità». Ma i prossimi progetti restano in ambito sociale: «Porteremo nelle scuole del Lazio una campagna di formazione per i docenti e di supporto psicologico verso chi è colpito da questa patologia».

E recitando Giovanna porta tutta la sua scorza, ma anche tutta la sensibilità di chi ha sofferto, diventando il perfetto volto di Dadina ma anche rendendo più facile la recitazione dinanzi a tanti mostri sacri, uno su tutti il protagonista Toni Servillo. Il rapporto tra i due personaggi si rende magistralmente in una scena, quella in cui al viveur consumato viene tolta la maschera, con un amorevole ‘Geppino’ pronunciato dall’editrice mamma e amica di sempre. «Ho provato tanta emozione nel recitare con Servillo – confessa Giovanna – ma io non vedevo lui, vedevo solo ‘Geppino’, e  mi faceva una enorme tenerezza.» Uno studio del personaggio davvero attento che l’ha resa estremamente credibile. Stanislavskij docet.

Un altro merito per Paolo Sorrentino: aver fatto conoscere Giovanna a tutto il mondo, le potenzialità di una donna che mai aveva recitato, ma che soprattutto si batte per una causa nobile e poco conosciuta.

Peccato che il regista abbia ‘venduto’ lo slogan  per motivi commerciali ad una nota marca automobilistica; perché Dadina-Giovanna, e tutte le altre persone come lei, sono loro davvero e senza retorica una «piccola grande bellezza». Da non dimenticare.