Fondi, delitto Cerro: parla “Mosè”, il presunto superteste

Ha sostenuto di aver sentito distintamente, dal suo appartamento al pianterreno della palazzina teatro del delitto, la sera stessa, le voci di due italiani di sua conoscenza: Salvatore Guglietta, uno degli imputati, e suo figlio, finora mai collocato sulla scena nè sfiorato dalle indagini. Ma ha anche ammesso, dietro specifica richiesta, di non sentirci tanto bene. Perché, poi, non ha parlato prima, ricordandosi delle “voci”, d’un colpo, solo a due anni di distanza? Si sentiva intimidito.

Dichiarazioni che hanno fornito il colpo di scena anticipato nella scorsa udienza, ma comunque da prendere con le pinze, tutte da valutare, quelle rese lunedì dal presunto superteste spuntato nel corso del procedimento per l’omicidio dell’allora 56enne Silvana Cerro, la donna originaria di Pontecorvo uccisa nella sua abitazione di Fondi il 20 novembre del 2013. Un fatto di sangue secondo le ricostruzioni nato da un colpo finito male, e che all’epoca ha portato in carcere il 58enne fondano Salvatore Guglietta, difeso dall’avvocato Maurizio Forte ed accusato di rapina aggravata, e il 44enne marocchino Achour Taleb, difeso da Guglielmo Raso e accusato di omicidio volontario. Entrambi ascoltati ieri, con Guglietta che ha fornito dichiarazioni spontanee e Taleb esaminato relativamente agli orari desunti dal suo alibi.


Ma nel corso dell’ultima udienza, dinanzi alla Corte di Assise di Latina, a prendersi la scena è stato uno straniero conosciuto a Fondi come “Mosè”. Il sedicente superteste, appunto. Un 68enne egiziano da anni residente nella Piana, inquilino del piano terra dello stabile di via Pascoli in cui la Cerro venne ammazzata.

Quella tragica sera era nel proprio appartamento, ma non uscì. A stretto giro rispetto alla scoperta del delitto, il 21 e il 28 novembre 2013, venne ascoltato dal pm titolare delle indagini, senza però fornire alcuno spunto di rilievo. Passati i mesi, succede qualcosa: lo scorso luglio “Mosè” si presenta ai carabinieri, facendo mettere nero su bianco una nuova versione. Quella delle “voci” di Guglietta e del figlio. A suo dire ascoltate per bene e quindi sostenuta anche ieri in aula, chiamato a testimoniare sulla scorta delle recenti dichiarazioni dell’ultraottantenne Concetta Lauretti, padrona e residente della palazzina di via Pascoli, madre di Salvatore Guglietta nonché vittima, la sera dell’omicidio, di una rapina che la fece finire in ospedale.

Al di là dei dubbi sollevati in aula sulle sue effettive facoltà uditive, tutte da decifrare le motivazioni che hanno spinto il 68enne egiziano a mettere in atto il presunto colpo di scena: riguardo l’inatteso dietrofront, “Mosè” ha affermato di aver a lungo temuto di poter essere intimidito da due non meglio identificati marocchini “ancora a piede libero”, la cui presenza in città gli sarebbe stata segnalata dalla stessa anziana madre dell’imputato Guglietta. “Rivelazioni” per ora senza alcun appiglio, se non nelle parole dell’egiziano.

Il prossimo appuntamento in aula è stato fissato per il 29 ottobre.