Schegge di storia – La “fuga” a Fondi di Angelo Mancia, poi ucciso dall’odio politico

(Primo da sinistra, ai funerali di Mancia, Nicola Macaro. Di fianco, Gramazio e Tommaso Luzzi)

Poco prima di essere trucidato a Roma a soli 27 anni Angelo Mancia, una delle tante vittime dell’odio terroristico degli Anni di piombo, aveva trovato rifugio in terra pontina. A Fondi, “ospite” dai camerati della Piana per sfuggire ai possibili riverberi di alcuni disordini capitolini. 


Angelo Mancia

Uno dei molti omicidi politici insoluti dell’epoca, quello del fattorino de Il Secolo d’Italia, quotidiano allora ancora organo ufficiale del Movimento sociale italiano: venne abbattuto a pistolettate a due passi da casa il 12 marzo del 1980, mentre si apprestava ad andare al lavoro in scooter. Un’esecuzione vera e propria, con tanto di colpo finale in fronte. La sua “colpa”, quella di essere un attivista missino. Un “fascista”. Delitto tuttora insoluto, e che venne rivendicato con una telefonata a Le Repubblica a nome dei compagni della famigerata “Volante Rossa”, ultima edizione. Un “boia”, Mancia. Per i suoi nemici nient’altro che un picchiatore squadrista. Tutt’altro, ha sempre detto e ribadito chi lo ha conosciuto da vicino.

Altri tempi. Tempi bui in cui ognuna delle parti in causa all’occorrenza non lesinava il ricorso alla violenza, fosse pure per una banale scazzottata. E che fosse messa in campo per volontà di prevaricazione o piuttosto per stringente necessità, a differenza di ieri, oggi importa poco. Storia nota. Non soltanto episodi di grosso calibro, degni di riempire i giornali, come bombe, mitragliate, molotov e quant’altro. Risse, ritorsioni e veri e propri agguati erano all’ordine del giorno nel percorso di militanza. Come ben sa chi ha vissuto quei decenni, anche solo avere il giornale “sbagliato” sottobraccio poteva mettere seriamente a repentaglio la propria incolumità. Non sta certo a noi ricordarlo.

Domenico Gramazio

Ed è in questo particolare clima ad alta tensione che si innesta l’omicidio di Mancia. Una figura ricordata puntualmente dagli eredi del Movimento sociale, come avvenuto l’ultima volta anche qualche giorno fa, in occasione del 38esimo anniversario del fatto di sangue. A parlare l’ex senatore di An Domenico Gramazio, che a Il Secolo d’Italia ha contribuito ancora una volta a disegnare il ritratto di un ragazzone buono e disponibile, nonché incensurato, agli antipodi rispetto il rissoso criminale descritto all’indomani della morte da parte della stampa nazionale. Ed è a questo punto che Gramazio riporta un aneddoto finora rimasto nel cassetto: “Qualche tempo prima era stato accusato per via di alcuni scontri vicino piazza Bologna”, dice riferendosi appunto a Mancia. “A quei tempi le forze dell’ordine non andavano tanto per il sottile, prima ti sbattevano in galera e poi facevano le indagini. Così Marchio (l’avvocato Michele, futuro senatore pure lui, ndr) decise di allontanare Angelo da Roma, e lo mandò a Fondi da amici comuni. Gli ripetemmo e gli raccomandammo di non farsi vedere in giro, di stare nascosto, ma lui invece ogni giorno se ne andava alla sezione del Msi di Fondi per stare con gli amici. Ricordo che la sezione (in pieno centro, ndr) era tenuta dal segretario Nicola Macaro, storico esponente del Msi pontino. Poi ci fu il processo, Mancia era difeso dagli avvocati Marchio e Valentino, e ovviamente fu assolto”.

Macaro e Almirante

Non molto prima del suo omicidio impunito, insomma, un “rifugio” pontino per Mancia. Circostanza particolare fino a un certo punto: per coloro che conoscono determinati ambienti, è piuttosto noto il legame fraterno che negli anni ha unito i vertici del Movimento sociale, e nello specifico quelli del “cuore” romano, ai militanti della provincia pontina, fondani in particolare. Uno dei fedelissimi di Giorgio Almirante, del resto, l’ex segretario della Piana “Nicolino” Macaro, peraltro amico di famiglia e ancora oggi legatissimo a “Donna” Assunta Almirante e ai reduci degli ambienti missini di allora. Ormai ha 88 anni, eppure il ricordo di Angelo – stesso nome di uno dei suoi figli, da sempre impegnato in prima persona nella politica d’area – continua a fargli male, indelebile. Non solo per i giorni a Fondi, dato che aveva avuto modo di conoscerlo bene già da tempo, nei comuni anni di militanza. Da buon conoscente, e poi in qualche modo “protettore” a margine degli scontri nei pressi di piazza Bologna e il successivo allontanamento verso la provincia di Latina, ritrovarsi a scortare il feretro di quel ragazzo strappato così presto alla vita dal seme dell’odio è stato davvero straziante.

Un episodio che l’ha segnato in maniera profonda: “Su consiglio del partito rimase qui in ‘vacanza’ per più di un mese, in una casetta nella zona del lago. Un bravo ragazzo. Si affezionò a tal punto alla bellezza della nostra zona che prima di essere ucciso tornò altre volte, sempre mio ospite, seppure per qualche giorno. Non doveva finire com’è finita”. Un bel ricordo di Angelo arriva anche da altri componenti della famiglia Macaro: “La prima volta che venne a Fondi, dopo i fatti piazza Bologna, si trovò talmente bene che cominciò a posticipare il rientro a Roma. Qui si era fatto degli amici, girava per l’ormai ex Little Bar e il vicino bar di San Bartolomeo, passava il tempo a pescare, giocare a carte oppure dietro ‘Nicolino’, che in città si spostava in lungo e in largo per gli impegni del partito. Alcuni di noi parteciparono con Angelo e altri militanti a una cena a Fiumicino proprio pochi giorni prima dell’omicidio”.