“Non chiamatelo Amore” convegno a Formia

In occasione della giornata internazionale della violenza sulle donne, il 25 novembre presso la Sala Ribaud del Comune di Formia si è tenuta una tavola di discussione dal titolo “Non chiamatelo amore”. Un  amore che intimidisce, umilia, offende , controlla, perseguita, isola, ricatta, uccide, non è amore.  Il senso di vuoto che spesso affligge il corpo di una donna violata è stato ben rappresentato dall’estratto dello spettacolo “Mio nome – mia voce – vuoto” della compagnia teatrale Teatro Kappao; performance che ha dato l’input alla tavola di discussione. Un dialogo a più voci moderato dalla dott.ssa Anna Casilli dove è stato dato rilievo al progetto della “Valigia di Salvataggio “ attivato dall’ Associazione ‘Salva mamme’ in collaborazione con la Polizia di Stato  che si sostanzia nella concessione di un kit con beni di prima necessità fornito ad una donna che decide di lascarsi alle spalle il suo inferno domestico e che l’ANCI Lazio ha messo a disposizione di 50 Comuni.

Un emozionato Assessore alle politiche Sociali, Giovanni D’Angiò ha voluto omaggiare la forza delle donne attraverso una poesia di Alda Merini ‘Sei bella..’E L’Assessore alla Cultura Carmina Trillino ha posto l’accento sul valore di avere “una coscienza sociale attraverso la quale avere una dignità  e se non la si difende si è fallito. “Le fragili dinamiche che si innestano in una vittima di violenza sono state evidenziate dalle responsabili dell’Associazione Veronica De Laurentis Onlus di Formia ovvero le dott.sse Leonarda Aceto  e Maria De Tata.


“Si ha ancora a che fare con una certa arroganza nel linguaggio con una certa assertività – ha spiegato la dott.ssa Aceto – lo stato di confusione, disorientamento è quello tipico di una donna violata: non si riconoscono i propri bisogni perché questi sono una minaccia per chi non ci rispetta. Clinicamente si ha un deficit di empatia per l’aggressore. Se fin da bambini si è abituati a censurare i propri bisogni, da adulti ci auto censuriamo. Il bisogno della fame ad esempio diventa il bisogno di amore ma non sapendolo riconoscere ci si autolimita perché additiamo quel bisogno come l’amore che abbia un prezzo, un amore condizionato. Si comincia quindi ad abusare il proprio corpo diventando anoressici o bulimici o dipendenti affettivi. Una donna abusata vive per gli altri, annulla se stessa e se perde l’oggetto delle sue attenzioni si sente vuota; non sa gestire la felicità e ripropone il suo copione di infelicità perché non sanno tradirlo non sanno ammettere che quello che hanno lasciato alle spalle cioè la loro famiglia d’origine già non funzionava. Le donne che scelgono dei compagni che abusano di loro hanno fatto parte di una famiglia di origine che già presentava uno schema di violenza ma non è riconosciuto e quinti continuano con l’auto abuso. Per alcune donne l’auto abuso viene portato agli estremi fino alle dipendenze: dal sesso, dalle droghe, dall’alcool. Il fine è quello di stordirsi per non sentire più il dolore: la cd. rimessa in atto del trauma.” “Nel nostro centro – spiega la Aceto – viene messo in atto un percorso di gruppo riabilitativo con un protocollo mirato conseguente al disturbo post traumatico da stress dove vengono forniti gli strumenti per prendere coscienza di sé e riconoscere nel futuro i segnali. Un percorso dedicato anche agli uomini sia che essi siano vittime di violenza sia che siano i carnefici ed abbiano preso consapevolezza”.

Esiste però una violenza che in casi fortuiti non lascia lividi, non rompe ossa, ma ferisce l’anima: si chiama violenza assistita. “I figli delle donne violate sono il motivo molto spesso delle mancate separazioni – sostiene la dott.ssa Maria De Tata, criminologa del Centro Antiviolenza che si occupa del problema della violenza assistita – non c’è cosa più sbagliata perché così facendo si crescono bambini nella violenza, nella falsità, nella mancanza di empatia con conseguenti danni sulla loro psiche. Le vittime di violenza diventano infatti bulli o vengono bullizzati. Un figlio di genitori violenti non può che riconoscere la violenza e ripeterla. Una donna che non si separa si sente spesso incapace di custodire suo figlio: deficit di custodia oppure incapace di custodire  se stessa: deficit di auto custodia. Il Risultato che ne consegue è che questi bambini hanno problemi di bulimia, anoressia, aggressività o disturbi nell’apprendimento. Le donne vengono aiutate a riscoprire se stesse e l’incredibile forza che ognuna di noi ha dentro di sé.”

Ci sono donne che si lasciano trascinare dalla loro energia coraggiosa e riescono a varcare l’uscio di un presidio delle forze dell’ordine. “La difficoltà della denuncia da parte di una donna abusata è forte – spiega l’Assistente Capo della Polizia di Stato Antonella Forcina del Commissariato di Formia – la Polizia sul terreno del contrasto alla violenza sta svolgendo un ruolo importante, evolvendosi. La vittima si aspetta dalle forze dell’ordine protezione ed indagini che portino ad assicurare l’autore della condotta violenta alla giustizia e noi della polizia cerchiamo di offrire questo. C’è più attenzione all’ascolto, all’accoglienza della vittima. Nel momento in cui una donna violata decide di denunciare il suo vissuto, la si accoglie attraverso una stanza dedicata adibita al colloquio tra lei e l’operatore  della polizia. A seguito del racconto si notizia l’ Autorità Giudiziaria affinché possano esser prese le misure cautelari più opportune come il divieto di avvicinamento oppure l’abbandono della casa coniugale. Si tratta di un iter che si cerca di attivare in tempi brevi in modo che la tutela sia garantita fin da subito”.

Il Sovraintendente Capo Antonio Treglia del Commissariato di Formia nonché referente legalità nelle scuole ed appartenente al Nucleo Provinciale Polizia Partecipata sottolinea l’importanza di un intervento preventivo tra i più giovani “Occorre sensibilizzare i ragazzi nelle scuole mostrando quali sono le cause e gli effetti della violenza educandoli alla denuncia già a partire dalla prima violenza psicologica subita o di cui possano essere testimoni”.

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