Il punto sui dati del coronavirus: ecco il 4 maggio, ed ora cosa succederà?

Ermete Labbadia, laureato da anni in economia e commercio ma appassionato e con una tesi in statistica, ci accompagna nella lettura dei dati del contagio dell’emergenza Covid-19

“Come scrivevamo più di una settimana fa “la situazione che avremo il 4 maggio sarà ancora migliore. Potremmo supporre per quella data un numero superiore a 100 solo in Lombardia e Piemonte e in una tra Emilia Romagna e Liguria, mentre tutte le altre regioni potrebbero essere sotto i 40 nuovi positivi giornalieri  con zero o quasi nuovi ricoverati”


La nostra previsione/auspicio non è andata molto lontana dalla realtà.

Come mostra la tabella che vi pubblichiamo oggi i nuovi casi accertati in Italia nella giornata del 3 maggio sono stati 1389.

Effettivamente solo tre regioni hanno registrato più di 100 casi positivi: la Lombardia (526), il Piemonte (251) e l’Emilia Romagna (166).

Oltre la provincia autonoma di Bolzano sono 13 le regioni con un  numero di positivi sotto le 40 unità.

Quasi tutte fanno registrare un incremento percentuale a 5 giorni dei casi totali confortante e vicino allo zero. I valori più alti (peggiori) sono quelli del Piemonte (7,78) e della Liguria (7,55).

Ed i nuovi ricoveratiNella prima metà di aprile abbiamo insistito nel dirvi che in quel frangente era il dato da tenere d’occhio perché la serie storica dei nuovi ricoverati più di ogni altra  si poteva avvicinare alla reale curva del contagio.

Da qualche giorno la situazione è cambiata, ma per un motivo molto positivo. Proprio perché ci sono molti più posti liberi gli ospedali stanno accogliendo anche pazienti positivi asintomatici e addirittura negativi provenienti da diverse RSA.

Nel Bollettino n° 94 di ieri, domenica 3 maggio, lo Spallanzani specifica: “Sono ricoverati presso il nostro Istituto 157 pazienti, di cui 103 positivi e 54 sottoposti ad indagini”.

Quindi nei prossimi giorni uno degli indicatori da tenere sotto occhio non sarà più tanto quello dei nuovi ricoverati Covid (per fortuna in questo momento quelli gravi si sono azzerati o quasi nella gran parte delle Regioni) ma i nuovi accessi alle Terapie Intensive.

Nell’ultima colonna della tabella abbiamo pubblicato i pazienti che si sono trovati contemporaneamente ricoverati in Terapia Intensiva nella giornata del 3 maggio.

Il numero è molto simile a quello dei nuovi positivi accertati  sempre nella giornata di ieri: ci si potrebbe quasi confondere: e questo ci fornisce anche spunti di riflessione. 

Ci saremmo dovuti aspettare più terapie intensive occupate in  Piemonte e anche in Liguria, vista la media dei nuovi positivi dei giorni scorsi: il fatto che non sia così magari dipende dal fatto che in queste regioni più che in altre la percentuale di asintomatici e pauci sintomatici di questo ultimo periodo potrebbe essere superiore a quella dei malati più gravi.

Il grafico ci mostra gli aumenti e le diminuzioni giornalieri degli accessi alle terapie intensive. I posti in terapia intensiva aumentano ovviamente quando ci sono contagiati che possono avere subito sintomi forti oppure che sono già ricoverati e si aggravano.  Diminuiscono per due motivi: quando  i pazienti migliorano e quando purtroppo muoiono.

Notiamo dal grafico incrementi giornalieri sempre crescenti fino al 19 marzo, che è alla fine del periodo (15-19 marzo) in cui si è registrato quasi certamente il picco del contagio avvertito, cioè la fase  nella quale più persone contemporaneamente hanno percepito i sintomi del Covid 19 in Italia.

Nella terza decade di marzo il contagio è diminuito ed è diminuito l’aumento del ricorso giornaliero alle terapie.  Anche i decessi, che hanno avuto il loro picco il 26 marzo,  hanno fatto sì che nella terza decade di marzo non si arrivasse al collasso del sistema ospedaliero. 

Il giorno 3 aprile con 4068 si raggiunge il numero più elevato di persone ricoverate in terapia intensiva: una quindicina di giorni dopo il picco del contagio, perché ovviamente le persone ricoverate in terapia intensiva vi restano mediamente per un periodo di diverse settimane.

Ermete Labbadia

Il 16 aprile si registra con – 143 la più alta diminuzione giornaliera negli accesi in TI. Nei giorni successivi la diminuzione è più contenuta perché il numero dei decessi è divenuto man mano minore.

Tra nuovi entrati in terapia intensiva ed usciti per vari motivi la differenza è stata di – 39 il 2 maggio e di -39 il 3 maggio.

Se nei prossimi giorni il segno meno si trasformerà in più quindi non vorrà dire che il contagio sarà per forza di nuovo aumentato: dipenderà ovviamente anche dal numero di decessi giornaliero che è destinato, a nostro avviso,  nei prossimi giorni ulteriormente a scendere.

Cosa succederà nei prossimi giorni? Non ci aspettiamo certamente il ricorso a più di 100.000 terapie intensive di cui parla uno dei 90 modelli presentati dal Comitato tecnico scientifico al Governo qualche giorno fa, non perché siamo ottimisti ma perché lo dice la logica.

Il virus ci ha colti impreparati a febbraio, dopo due mesi che probabilmente girava sotto traccia ed ha avuto un impatto devastante: forse già più di 40,000 decessi effettivi e poco più di 4.000 posti in terapia intensiva contemporaneamente occupati.

Come si fa ad ipotizzare uno scenario almeno 25 volte peggiore anche in assenza di lockdown ora che siamo preparati e quando in almeno il  90 per cento degli  incontri quotidiani degli Italiani c’è un giusto distanziamento e/o una mascherina?

Quello era uno scenario possibile al 20 febbraio. Infatti anche noi abbiamo parlato nei nostri post di 500.000 decessi evitati o anche più di un milione (a seconda del tasso di letalità).

C’è qualche esperto che nella seconda metà di febbraio ha presentato a qualche ministro o governatore in modo convinto un modello del genere?

Alcuni componenti del Comitato Scientifico ancora a metà marzo in conferenza stampa parlavano di “soli” 30.000 decessi evitati grazie al lockdown. Quindi adesso quei 30.000 in condizioni di quasi completa ignoranza dei cittadini    si trasformano in più di un milione  in condizioni in cui invece c’è una consapevolezza del pericolo?

Sicuramente il virus può anche essere contratto anche dai più prudenti, disciplinati e che si trovano in posti isolati ma chiaramente è molto più probabile che venga contratto da chi ha comportamenti opposti oppure per lavoro o per  incontri è costretto ad imbattersi in pazienti sintomatici o con asintomatici.

Crediamo che al momento la situazione non sia molto dissimile da quella che c’era il 20 febbraio con la differenza che la quasi totalità degli Italiani è consapevole del pericolo, che non ci sono a differenza di quel periodo esperti pagati in trasmissioni di TV di Stato molto seguite che prendono in giro i falsi allarmisti: se ci troviamo in questa situazione è per una sottovalutazione avvenuta proprio alla fine di febbraio: politici non consigliati adeguatamente da esperti che si dividevano sulla pericolosità del Covid.   

Esistono inoltre ora anche  i distanziamenti e i dispositivi di protezione.

Noi non ci aspettiamo un rialzo del numero dei contagiati : qualche nuovo focolaio capiterà sicuramente, ma i numeri dei nuovi positivi a nostro avviso tenderanno sempre man mano a decrescere e non a crescere.

Ci diranno che bisognerà aspettare due o tre settimane per vedere gli eventuali effetti delle riaperture nei dati. Se questo corrisponde a verità  da una parte ci fa essere critici  perché vuol dire che è troppo lungo il periodo che intercorre tra avvertimento dei sintomi, tamponi, processione e comunicazione dati, dall’altra però ci può anche confortare perché vuol dire che i dati letti ieri si riferiscono ad una situazione di tre settimane fa. E quindi la situazione oggi con cui si sta iniziando la Fase 2 è notevolmente  migliore di quello che pensiamo.

L’invito alla massima prudenza comunque non è solo rituale: tra gli errori fatti in Fase 1 c’è stato, infatti,  anche quello di non ricercare soprattutto nei primi periodi gli asintomatici, che lo studio di Vò Euganeo ha detto essere di un numero  pari almeno al 40% del totale dei positivi. Qualche asintomatico ancora sarà in giro.

E quasi sicuramente è stato un errore anche il protocollo dei 15 giorni di quarantena, visto che molti asintomatici sono guariti anche dopo più di 40 giorni.

Probabilmente 15 giorni sono più che sufficienti per non contrarre la malattia, ma sono largamente insufficienti perché un asintomatico non sia più positivo: e se chiaramente non si fa un tampone a fine quarantena uscire dall’isolamento domiciliare e anche con la convinzione di essere sani al 100%  ha potuto e potrà creare danni.

Quindi per questa Fase 2 siamo prudenti e ottimisti, non perché ci piace esserlo di natura ma perché ce lo dicono i dati”.