Operazione “Tempio”: leader, gregari e spaccio all’ombra del ristorante

La Questura di Latina

Sono Stefano Cerilli, 32 anni, Andrea Asam, 29 anni, entrambi di Roccagorga, Gianni Mancini, 48 anni, di Ardea, ed Ennio Reffe, 32 anni, di Patrica, i quattro indagati nell’inchiesta antidroga denominata “Il Tempio” messi ai domiciliari dalla squadra mobile di Latina.

Notificato invece l’obbligo di firma a Nazir Asam, 34 anni, di Roccagorga, Enrico Berardi, 55 anni, di Priverno, Angelo Di Veroli, 47 anni, di Sezze, e Fabio Di Girolamo, 49 anni, di Amaseno.


L’inchiesta dei sostituti Giuseppe Miliano e Valentina Giammaria e dell’aggiunto Carlo Lasperanza è partita dalla perquisizione compiuta dalla Mobile il 10 settembre 2019 nel ristorante “Il tempio dei templari” di Cerilli, a Roccagorga, dove in un locale adibito a lavanderia gli investigatori trovarono oltre 300mila euro in contanti.

Sospettando che quel denaro fosse frutto della vendita di droga e indagando, la squadra mobile ha pian piano ricostruito una fitta rete di spaccio.

Gli inquirenti, alla luce di una lunga serie di intercettazioni, sequestri e accertamenti bancari, si sono così convinti che Cerilli fosse il leader indiscusso del gruppo.

“Egli ama definirsi l’imprenditore – specificano i pm nella richiesta di arresti – inteso come dedicato attivamente allo spaccio di sostanze stupefacenti, che consegna ai suoi acquirenti presso il ristorante di famiglia”.

Cerilli in una conversazione intercettata in auto con Andrea Asam, a cui rimprovera lo scarso rendimento: “All’ultimo rischiamo la galera, non è che possiamo restare così, eh no”.

Ancora: “Mo tanto quando rientro finisce sta storia…si organizza in modo diverso, questa la diamo a un altro, tu ti metti a fare un’altra cosa, io gestisco solo il guadagno, gestisco solo… tutto quanto, l’imprenditore lo faccio io…Franco, Onorato, tutti questi che vengono da me te li prendi tutti tu, ti metti a casa, ti metti la roba appresso in un posto”.

Un quadro che ha subito convinto anche il gip Pierpaolo Bortone, il quale ha evidenziato che “non residuano dubbi in ordine alla responsabilità degli indagati”, ritenendo rilevanti i sequestri compiuti dalla mobile di quattro chili e mezzo di hashish, quattro chili di cocaina, armi da fuoco, due auto con sistemi sofisticati per nascondere e trasportare droga, tre telefoni cellulari criptati, e manoscritti con pseudonimi e cifre, in pratica dei dettagliati registri dello spaccio.

Per il giudice, “gli indagati hanno realizzato una intensa e ripetuta attività di spaccio che si è protratta costantemente e che si è indirizzata a un cospicuo e variegato numero di consumatori, presentando un evidente allarme sociale”.

Relativamente ai quattro messi ai domiciliari, per il gip desta particolare allarme “la capacità manifestata nel reperire canali di approvvigionamento, mantenendo contatti con i fornitori, con i quali hanno dimostrato di mantenere una continuità nei rapporti, divenendo punto di riferimento per la risoluzione di problematiche collegate a quelle strettamente afferenti l’attività di spaccio”.

I quattro indagati per cui ha disposto l’obbligo di firma li considera invece dei collaboratori di Cerilli e degli altri tre.

Di Veroli, oltre a spacciare, sarebbe stato inoltre incaricato di tagliare la cocaina.