Dai clan Ciarelli e Di Silvio pianificata una strategia stragista

Dopo l’omicidio di Massimiliano Moro, il 25 gennaio 2010, i Ciarelli e i Di Silvio avevano pianificato una vera e propria strategia stragista per diventare i padroni di Latina.

Le due famiglie di origine nomade volevano imporsi sul resto della criminalità locale e per raggiungere tale obiettivo erano pronte a continuare a uccidere.


Lo ha dichiarato ai magistrati della Dda di Roma il pentito Andrea Pradissitto.

E le dichiarazioni di quest’ultimo hanno consentito alla squadra mobile di compiere altri tre arresti per quel delitto compiuto a poche ore di distanza dall’agguato subito da Carmine Ciarelli, come forma di ritorsione.

A febbraio vennero arrestati per l’uccisione del pregiudicato, esponente della malavita non nomade di Latina, lo stesso Pradissitto, Simone Grenga, Ferdinando Ciarelli detto Furt e Ferdinando Ciarelli detto Macù.

Ora in carcere sono finiti anche Antoniogiorgio Ciarelli e Ferdinando “Pupetto” Di Silvio, oltre che nuovamente Macù, che era stato scarcerato dal Riesame.

Il gip del Tribunale di Roma, Francesco Patrone, ha specificato che l’omicidio Moro “ha costituito il punto centrale di una serie di condotte criminali che, prima e dopo di esso, hanno determinato l’affermarsi sul territorio pontino di clan familiari caratterizzati dalla capacità di porre in atto un potere di intimidazione tale da determinare il riconoscimento giudiziario della natura mafiosa di una parte del sodalizio facente capo alla famiglia di Armando Di Silvio detto Lallà”.

Pradissitto, parlando del tentato omicidio di Ciarelli a Pantanaccio undici anni fa, ha detto: “Macù insistette nel dire che era stato Massimiliano Moro, che se avessimo dato una risposta immediata saremmo diventati padroni di Latina e che questa decisione era la stessa che avrebbero preso i nostri genitori o parenti se fossero stati al posto nostro”, aggiungendo anche che Furt ipotizzò invece inizialmente che l’attentato fosse stato ordinato dai Casalesi, per dei contrasti che il fratello Carmine aveva avuto con Pasquale Noviello e la moglie Maria Rosaria Schiavone, figlia del pentito Carmine, che avevano costituito un’associazione mafiosa a Nettuno e fatto estorsioni a un uomo di Casal di Principe legato ai Ciarelli, un venditore di auto, il quale fornì poi al clan nomade anche delle pistole.

La strategia stragista sarebbe invece stata pianificata in un incontro tra le famiglie di origine nomade tenuto dopo l’uccisione di Fabio Buonamano, amico di Moro, assassinato il 26 gennaio 2010.

“Venne delineata una linea stragista – ha dichiarato Pradissitto – vuol dire che dovevano essere eliminate tutte le persone che potevano impedire che noi tutti prendessimo il potere su Latina e provincia in modo incontrastato. Il primo nome che fu fatto fu quello di Marchetto Fabrizio, il secondo nome fu di Carlo Maricca, il terzo nome fu quello di Mario Nardone, il cognato Maurizio Santucci, e i due fratelli Mazzucco Antonio e Pietro”.

Dunque degli esponenti della criminalità non nomade e del gruppo considerato tanto dagli inquirenti quanto subito dagli stessi clan di origine nomade responsabile dell’omicidio nel 2003 di Ferdinando Di Silvio, detto Il Bello, fatto saltare in aria con un’auto-bomba a Capoportiere.

Ancora: “Ciascuno si prese un obiettivo – ha poi evidenziato – Carmine Di Silvio detto Porcellino si incaricò dell’omicidio di Carlo Maricca, di Mario Nardone e del cognato Santucci Maurizio, perché li ritenevano in qualche modo coinvolti nell’omicidio del fratello Ferdinando il Bello. Io e la frangia dei Ciarelli prendemmo l’incarico di uccidere Fabrizio Marchetto, i Di Silvio di Campo Boario presero l’incarico di uccidere i fratelli Mazzucco”.

Marchetto e Santucci subirono effettivamente degli attentati, ma poi scattarono una serie di arresti e il piano svanì.