GAETA, LICENZIAMENTO PER 130 DIPENDENTI DELLA POZZI GINORI

pozzi-ginoriDoveva essere solo, si fa per dire, un altro maxi blocco di dipendenti che doveva pagare la crisi economica con la cassaintegrazione, invece 130 dipendenti della Pozzi Ginori di Gaeta andranno in mobilità, ovvero saranno licenziati.

La drammatica scure della perdita del lavoro si è abbattuta con tutta la sua violenza sulla sede gaetana dell’azienda del gruppo Sanytec. Quale peggior modo di celebrare la festività del Primo maggio per questi 130 lavoratori? In realtà la comunicazione del gruppo di attivare le procedure di mobilità è stata emessa il 23 aprile scorso, tuttavia è iniziata ad essere appresa dagli sventurati interessati, tramite una nota ufficiale del gruppo, solo da qualche giorno.


Eppure le prospettive, seppur con enormi difficoltà e sacrifici, sembravano di tendenza opposta. Perché solo qualche settimana fa l’azienda preannunciava un aumento di capitale e, nonostante la crisi e quindi 130 nuove procedure di cassaintegrazione, dopo le 45 dello scorso anno andate a scadenza proprio in questi giorni, esprimendo in questo senso la volontà di proseguire la produzione a Gaeta e scongiurando paventate smobilitazioni del sito produttivo.

Immediate già allora le critiche dei sindacati per la maxi-cassaintegrazione, ma ancora all’oscuro della tempesta che si profilava all’orizzonte, specie del sindacato di base, quello interno, al quale peraltro la missiva di ‘licenziamento’ è indirizzata. Ma tuttavia non sembrano esserci spazi di mediazione perché le affermazione del gruppo Sanytec sono inequivocabili. Sono infatti definiti “strutturalmente esuberanti rispetto alle esigenze della società” questi 130 dipendenti, per i quali “si procede perciò a risolvere il rapporto di lavoro”. Sono “i nuovi fabbisogni aziendali” ad imporre il ridimensionamento societario, specie nei costi del personale che incidono “per il 40 – 50 percento”.

Ancor più lapidario l’epilogo della comunicazione: “Tale provvedimento non ha alternative di fatto praticabili poiché quelle che, al riguardo, si possono ipotizzare non danno sufficienti garanzie per quanto riguarda il loro esito, né risultano compatibili con il carattere di urgenza reclamato dalla situazione né, tanto meno, sono sostenibili a causa dell’attuale momento economico-finanziario. Il mantenimento in forza del personale in esubero, porterebbe a un aumento di costi di produzione di entità tale, da non rendere l’azienda competitiva sul mercato nazionale ed estero. Per tale motivo questa ipotesi è da escludere. La definitiva soppressione dei posti di lavoro – concludono i vertici aziendali nella lettera – esclude la possibilità di modificare l’organizzazione del lavoro mediante forme di flessibilità dell’orario che evitino del tutto o in parte il suddetto procedimento”.

Insomma non ci resta altro che licenziare, per dirla in parole povere. Forse mai nella storia industriale dell’area comprensoriale del sudpontino si era assistito ad un licenziamento collettivo di questa grandezza, e in attesa di contromosse dei sindacati e dei lavoratori, per adesso rimasti così spiazzati da non aver ancora replicato, vanno registrati i drammatici numeri dell’operazione di licenziamento: 103 persone alla produzione, 8 all’amministrazione, 6 alla logistica e 13 ai servizi e alla tecnica. Totale 130 famiglie senza più un reddito.