Polemiche dopo la proiezione di 'Atlantis', il regista Ferrari replica alla Femca Cisl

ATLANTISLa sera del 29 novembre, dopo i successi nei festival internazionali, è stato presentato a Latina il mio documentario “ATLANTIS” davanti ad una sala affollata da circa 300 persone. Una bellissima risposta da parte della nostra città, calorosa ed anche emozionata, che ha ripagato in pieno la volontà di organizzare l’anteprima nazionale proprio a Latina, luogo principale (insieme a Carrara) dei fatti narrati nella storia.

“Non è il lavoro che è in crisi, non è l’economia che è in crisi, è la condizione umana dell’uomo e della donna che è in crisi” dice una delle protagoniste di questa vicenda all’inizio del documentario, a manifesto di quello che sin dall’inizio è stato il punto di vista che ho scelto di seguire. Forse per questo Atlantis è riuscito a vincere il primo premio in un prestigioso festival di New York, a vincere il Premio Speciale della Giuria alla Festa del documentario di Cortona e ad essere tra i finalisti del prossimo Festival internazionale dei Diritti Umani di Napoli. Due piccole realtà di due piccole province italiane sono così riuscite a superare limiti e confini, le protagoniste a diventare giganti di energia, di umanità e di coraggio, esempio vivente di scelte scomode ma rivoluzionarie, aldilà delle iconografie e dei ruoli precostituiti.


“Siamo sul Titanic e io da qui scrivo il diario di bordo” dice Rosa dal silenzio assordante della fabbrica vuota, e da lì riesce a raccontare anche il nostro Titanic e la sua resistenza diventa anche la nostra. Purtroppo mi trovo a scrivere e a dover spiegare queste cose perché ieri è stato diffuso un comunicato che attacca “ATLANTIS” e la mia persona con l’accusa di essere “di parte” e di non riconoscere il ruolo svolto dal sindacato (Femca Cisl) al fianco delle lavoratrici della Tacconi Sud dando una visione distorta della realtà.

E allora diciamolo, è vero, sono di parte. Sin dall’inizio ho scelto di esserlo, di non entrare nel particolare della singola vertenza o della singola polemica tra persone o istituzioni, ma di provare a raccontare questa storia attraverso gli occhi, le mani, il dolore, le gioie, la realtà di tutte quelle persone che in tutti i telegiornali passano veloci, sommerse da numeri, dati e parole dei comunicati politici, sindacali, istituzionali, economici, burocratici.

Una cosa è certa però, il documentario non distorce la realtà. Che il sindacato, come da statuto, abbia tutelato le lavoratrici ed abbia favorito la vittoria delle operaie viene detto ed è anche scritto alla fine, non abbiamo mai sostenuto il contrario. Se l’accusa è che a questo non venga data centralità, allora siamo d’accordo. Ma è stata una scelta. Il documentario non racconta una mera cronaca dei fatti, non è un reportage, ma racconta quello che è accaduto dentro e dietro quella cronaca, tra le pieghe delle attese tra una sconfitta e una vittoria, tra un titolo sul giornale e un comunicato, nella vita che scorreva lenta il giorno e lentissima la notte. Ho voluto dare centralità alle persone, alle loro relazioni, la loro quotidianità, al senso che si sforzavano di trovare. Ed è davvero strano che l’accusa di aver dato troppo spazio ai lavoratori venga da un rappresentante sindacale. O forse è sintomatico di una realtà parallela vissuta dagli attori sociali rispetto a quella vissuta e percepita dalle persone comuni. Questo è il mio punto di vista. D’altra parte è il mio documentario.

Sarebbe auspicabile che si cominciasse a guardare verso la luna piuttosto che contemplare il dito che la indica. Concludo con due brevi frasi tra i commenti scritti all’interno della pagina facebook di MaGa Production:

“… Grazie per aver dato voce alle nostre urla di dolore e per aver canalizzato la nostra rabbia verso la speranza.”

“Sono contenta che esista gente come loro e come voi…il silenzio in sala era simile a quello di quella fabbrica, racchiudeva grida ed urla che spesso non si ha il coraggio di far uscire…”

Questi, come altri commenti mi danno e ci danno la convinzione di aver scelto la parte giusta per narrare queste storie. E mi convincono a continuare a scegliere di non mettere bandiere, ma di provare a creare se possibile relazioni ed emozioni.

Massimo Ferrari – regista di “ATLANTIS”