Fondi, operazione “Sud Pontino”: la Cassazione annulla con rinvio l’aggravante mafiosa per i D’Alterio

Ortofrutta e clan, annullate con rinvio a nuovo giudizio limitatamente all’aggravante mafiosa le condanne a carico della famiglia D’Alterio. E con esse, di conseguenza, anche le confische dei beni sociali (quelli personali erano già stati restituiti l’anno scorso). Una decisione giunta a margine della discussione, avvenuta giovedì, dei ricorsi presentati dai legali di “Peppe Marocchino” e dei tre figli presso la Corte di Cassazione.

Nel maggio del 2010 l’oggi 58enne Giuseppe D’Alterio imprenditore residente a Fondi e i congiunti – Luigi, Armando e Melissa – erano finiti al centro di una vasta operazione condotta dalla Direzione investigativa antimafia di Roma e dalla squadra mobile di Caserta. Denominata “Sud Pontino”, portò a sgominare una presunta organizzazione criminale che almeno dal 2000 imponeva il monopolio del trasporto su gomma di prodotti ortofrutticoli da e per i principali mercati del centro e del sud Italia. Un sodalizio considerato legato alla famiglia camorristica degli Schiavone e che, raccontavano le indagini di allora, oltre che nell’ambito del Mof aveva esteso e consolidato la propria egemonia soprattutto nei mercati campani di Aversa, Parete, Trentola Ducenta e Giugliano, fino ad arrivare a quelli siciliani di Palermo, Catania, Vittoria, Gela e Marsala. Un “sistema” oleato e per gli inquirenti gestito in particolare da “La Paganese”, fino a qualche anno fa con una sede distaccata appena fuori il Mof, ditta campana riconducibile a Costantino Pagano, indicato come uno dei riconosciuti ras delle agromafie. Ad aiutare “La Paganese” nell’imporre il proprio potere nel Basso Lazio e nel sud della penisola, oltre che in alcuni mercati del nord, secondo le indagini era la “Lazialfrigo”. La società della famiglia D’Alterio, appunto.


In primo grado Giuseppe e i figli erano stati condannati a quattro anni di reclusione ciascuno, per illecita concorrenza aggravata da modalità mafiose relativa ai fatti contestati dall’ottobre del 2005 in poi. Mentre, per quanto riguarda le contestazioni riferite al periodo antecedente, l’aggravante mafiosa era andata incontro alla prescrizione, pur rimanendo in piedi il reato di illecita concorrenza. Nel gennaio del 2014, la quinta sezione della Corte d’appello di Napoli aveva poi rigettato i ricorsi presentati dalle difese, confermando le sentenze. Sentenze che ora, dopo le decisioni della Cassazione, potrebbero essere rideterminate: gli ermellini hanno ritenuto opportuno che relativamente all’aggravante mafiosa (e come anticipato in apertura per la collegata misura patrimoniale della confisca dei beni sociali) si tornasse indietro di un grado di giudizio. Le posizioni dei quattro saranno dunque vagliate da un’altra sezione della Corte d’appello partenopea. Le motivazioni che hanno portato la Suprema Corte a tale decisione saranno rese note nelle prossime settimane.