GLI ENTI LOCALI FRA MANOVRE FINANZIARIE ED EMERGENZE SOCIALI, ANALISI DI LEGAUTONOMIE

Forte incremento delle entrate tributarie (31,5%) ed extratributarie e da tariffe (+ 14% circa) previste, moderata crescita della spesa corrente (attorno ai 2-3 punti percentuali, se si esclude Roma dal calcolo dell’andamento medio), immobilismo degli investimenti (-0,9%), di fatto sostenuti esclusivamente dai “grandi Comuni”. Riduzione dell’incidenza della spesa per il welfare “allargato” (servizi sociali, cultura, istruzione, sport e tempo libero) e per il sociale in senso stretto, sul totale della spesa corrente, rispettivamente del 2,4% e dell’1,1%. Sono alcuni dei risultati della ricerca che Legautonomie ha presentato a Genova durante il convegno nazionale “Gli enti locali fra manovre finanziarie ed emergenze sociali – Idee e proposte per il nuovo welfare”.

L’esame dei bilanci di previsione 2011 ha riguardato un campione significativo di 30 comuni distribuiti nel territorio nazionale ed è stato promosso da Legautonomie in collaborazione con lo Spi Cgil e l’Ires Lucia Morosini.


Si tratta di previsioni iniziali, che subiranno nel corso dell’esercizio finanziario importanti variazioni, tuttavia costituiscono il punto di partenza del programma annuale e indicano le scelte politiche effettuate dall’Amministrazione comunale.

Dalle analisi emerge con chiarezza la tendenza alla riduzione della spesa sociale comunale, accompagnata da un significativo incremento delle entrate da tariffe e tributarie, a cui si sommano l’effetto combinato dei tagli ai trasferimenti statali e del drastico ridimensionamento dei Fondi sociali nazionali.

Le elaborazioni sui bilanci di previsione per il 2011, mostrano i primi effetti delle “manovre correttive”: in un solo anno, 1.500 milioni di trasferimenti statali ai comuni sono venuti a mancare e la programmazione socio-economica dei comuni paga le conseguenze di un sistema ormai da ripensare. Nell’arco di 6 anni, tra il 2006 e il 2011, la quota di spesa corrente dei Comuni destinata al welfare si è ridotta del 3,1%, 2,4% solo nell’ultimo anno.

Per quanto riguarda la spesa sociale nominale si rileva invece un incremento del 2%. Ciò si traduce in uno stanziamento medio di 469,8 euro pro-capite nel 2011. Marcate, in questo aggregato di spesa, le differenze territoriali: al Sud, gli enti locali riescono a stanziare per il welfare solamente 289,3 euro per abitante, pari al 26,8% del totale della spesa corrente pro-capite. Nel Nord Ovest gli stanziamenti raggiungono i 570 euro per abitante e un’incidenza sulla spesa corrente di circa il 42%.

Negli ultimi 3 anni il Governo ha operato un taglio del 63% ai Fondi sociali nazionali, la decurtazione più significativa riguarda il Fondo nazionale per le politiche sociali (FNPS), istituito dalla legge 449/1997 e ridefinito con la legge 328/2000, che dal 2008 al 2011 è sceso da 929,3 milioni a 273,9 milioni di euro. La manovra di bilancio per il 2011 ha poi cancellato ogni stanziamento per il Fondo per la non autosufficienza, dotato di 400 milioni nel 2010, e ridotto in modo considerevole le dotazioni in capo agli altri Fondi sociali nazionali: la tendenza alla riduzione delle risorse per il sociale è destinata ad aumentare con la prossima approvazione dei bilanci di previsione per il 2012.

Come se non bastasse, con l’attuazione della legge delega per il riordino del sistema fiscale e assistenziale, attualmente all’esame della Camera, e con la quale il Governo intende recuperare almeno 20 miliardi a partire dal 2012, potrebbero verificarsi ulteriori tagli alla spesa sociale con pesanti ripercussioni sulle famiglie.

“Gli entusiasmi del Governo sulla ‘big society’ tendono sostanzialmente a nobilitare e a dare una copertura ideologica ai tagli alla spesa sociale, e quindi a far arretrare l’impegno pubblico. Al contrario è sempre più irrinunciabile e strategico un forte impegno statale con funzioni di programmazione, regia, regolazione e controllo, di garanzia per l’accesso di tutti i cittadini in condizione di bisogno alla rete dei servizi, e che il privato profit e non profit sia capace di essere imprenditoriale. Occorre – un ripensamento profondo dei modelli organizzativi, del modus operandi delle strutture e degli uffici preposti alle politiche sociali, ed è necessario un forte decentramento delle politiche di welfare, bisogna cioè riportare a livello territoriale non solo le prestazioni erogate alle persone, ma la progettazione degli interventi ed anche buona parte di quel 90% di risorse gestite a livello centrale”.

Insomma , “la legge delega di riordino del sistema fiscale e assistenziale, attualmente all’esame del Parlamento, contenga una visione residuale del welfare, perché destruttura il sistema dei servizi sociali che si è costruito con tanta fatica nel corso degli anni”.

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