Ci siamo svegliati figli del cambiamento climatico

Dobbiamo essere onesti: non c’è scampo alla furia del maltempo e non ci sono allerte meteo che tengano. Se devi uscire per motivi di lavoro o per questioni improrogabili o di salute non c’è modo di essere in sicurezza in alcuni frangenti e la cosa peggiore è che l’eccezionalità degli eventi sta diventando normalità.

In tutto ciò bisogna essere concreti e anche un po’ realisti: bisogna ringraziare che ieri non c’è scappato il morto in provincia di Latina a causa del maltempo, perché quanto avvenuto a Borgo San Vito, tra Pontinia, Sabaudia, Terracina e il Circeo con la gigantesca tromba d’aria (o se preferite tornado, perché è così che dovremmo chiamarli) e a Formia con l’esondazione del torrente Rio Fresco e gli allagamenti sul territorio comunale non possono che far ringraziare il Padre Eterno, per chi crede, e il fato o la causualità per tutti gli altri.


Ma non cambia la sostanza, tranne che credenti e non credenti potrebbero essere d’accordo che se ieri nessuno s’è fatto male, e per molti si è concluso “solo” con tanta paura e conta dei danni è esclusivamente grazie al cielo. Quel cielo che una volta si invocava per il cambio delle stagioni e che sempre più oggi rischiamo di temere per gli eventi estremi.

Perché il clima sta cambiando, anzi, è già cambiato ed è sempre più un preoccupante dato di fatto. Prima pensavamo fosse una sorta di suggestione, dettata magari dalla nostra memoria corta in cui non ricordavamo estati così calde, inverni con così poca neve e neppure eventi estremi così repentini.

Poi è diventata la volta delle immagini. Ma pare che neppure quelle ci abbiano disturbato più di tanto, come se un confine geografico distante chilometri e non paralleli di longitudine potesse metterci al riparo da qualcosa che ci vede tutti coinvolti. Forse, proprio per via di quel modo di dire che i problemi di tutti rischiano di diventare i problemi di nessuno, alle prime avvisaglie di maltempo serio, abbiamo deciso di nascondere sotto il tappeto i detriti di qualche frana, fin quando il vento ha iniziato a spettinarci un po’ troppo non solo i capelli ma anche le case e fin quando non abbiamo notato che l’acqua non stava entrando solo nelle nostre scarpe ma anche nelle auto, negli scantinati, nei negozi e persino nelle case.

Ma siccome le immagini pur se impattanti, dopo lo sgomento pare ci aiutino solo a spostare l’attenzione su qualche nuovo problema dell’oggi, come se per il cambiamento climatico avessimo ancora tempo, mentre tutto ci crolla accanto e intorno, alla fine, le piogge torrenziali, e la non sempre corretta manutenzione e prevenzione, un giorno ci hanno fatto svegliare al centro del disastro. Era novembre del 2021. L’alluvione lampo di Itri ha lasciato tutti sgomenti e quei problemi, con cui oltre 200 persone ancora oggi fanno i conti sembra non finire mai.

Quell’acqua e quel fango, oltre alla paura e il disagio di perdere tutto non è mai andata via dalla mente di cittadini itrani. Ma poi, tutti, istituzioni comprese, si sono riaddormentate, sopite dal caldo estivo.

Giovedì, il tornado della pianura pontina e la situazione di Formia, ci hanno ridato la sveglia. Il cambiamento climatico è qui. Non è un problema di domani, ma è una questione sul banco oggi, di cui la politica dal basso non parla se non di rado, perché si aspettano decisioni dall’alto che non arrivano. Oggi parliamo delle esondazioni e degli incendi, domani lo faremo in modo più incisivo dell’erosione e della mancanza di acqua. Sì, perché le cose vanno avanti, mutano e dinanzi ai cambiamenti l’unica cosa che mai si dovrebbe fare è rimanere indifferenti.

Eppure, l’impressione che si ha è che continuiamo a vivere di emergenze così ravvicinate che il rischio concreto è che finiremo nel quotidiano di un’emergenza costante. Dove la collina che frana a Formia potrebbe essere quella accanto a casa nostra, dove il torrente che porta tutto a valle ad Itri è qualcosa che accade a due passi da dove vivono i nostri parenti o dove la furia di un tornado distrugge la nostra attività produttiva. O ancora dove la strada di Sabaudia che crolla perché cede la duna è quella dove lasciamo la macchina l’estate per un tuffo al mare o dove la devastazione del vento che abbatte gli alberi nel centro di Terracina diventano quelli del giardino di casa nostra. E così via sommando emergenze a emergenze, eventi eccezionali, a fatti accaduti negli ultimi anni o addirittura negli ultimi giorni.

Il rischio è che accada questo, o peggio, che stia già accadendo mentre tutti, cittadini, politica e istituzioni, si girino colpevolmente dall’altra parte, tendando in modo impacciato di spostare ancora detriti sotto quel tappeto che in realtà la furia dell’acqua e del vento ha già spazzato via.